• Gio. Nov 21st, 2024

Ricordare per ripartire dal terremoto come dalla pandemia

Focus di immagini e notizie sul Terremoto del Friuli del 1976 e la Ricostruzione

Quarantacinque anni fa, a quest’ora, si era già consumata la gran parte del dramma in 119 Comuni delle Province di Udine e di Pordenone: edifici crollati, paesi distrutti, ricordi cancellati travolti da quella che per quasi un minuto, dalle 21:03 del 6 maggio 1976, non era più una certezza, la stabilità del terreno, ma la causa della devastazione. Per mesi, per ripetersi in modo quasi altrettanto drammatico il settembre successivo, la terra ha continuato a tremare. È quella l’unica certezza alla quale l’uomo non può né sa rinunciare a lungo, che non a caso i marinai chiamano ‘la terra ferma’, dove poter trovare ristoro dopo avere vissuto e combattuto a lungo contro la violenza dei marosi. Le genti friulane, tuttavia, e lo si rivede nelle interviste dell’epoca, invece di perdersi di coraggio si sono volute rimboccare le maniche per rifare tutto da capo, ma ancor meglio di prima. Non c’era e non era il tempo di piangere nel ricordo dei propri cari scomparsi sotto le macerie, né a rimirare il cumulo di sassi e calcinacci che rimaneva della propria casa natia. Come ci dimostra una toccante testimonianza che si ricava da un breve tratto di un servizio del Telegiornale di Rai 1, non ricordo se l’intervistatore fosse Bruno Vespa o il nostro Claudio Cojutti, entrambi mobilitati allora a lungo e sul posto per raccontare l’evolversi di una tragedia: una ragazza del gemonese con apparentemente innocente ingenuità, ma invece esempio di ferrea determinazione, spiega che non serve a nulla perdere tempo a piangere, che ci si deve rimboccare le maniche perché bisogna ricostruire tutto. Un segnale, uno slogan, una parola d’ordine sulla quale si può fondare anche questa ripartenza, dal ‘lockdown’ della pandemia. Per chi l’ha vissuto, anch’io pur se sposandomi in quei momenti nell’area colpita dalla città, anche in quello che gli urbanisti chiamarono ‘cratere terremotato’ perché circoscrivendo l’area colpita ne risultava una sorta di cono rovesciato simile alla bocca di un vulcano, il periodo che andò tra il 6 maggio all’affievolirsi delle scosse del 15 settembre fu forzatamente vissuto come una sorta di ‘lockdown’. Inizialmente con l’impossibilità, per con il divieto di spostarsi nell’area colpita. Nel frattempo però si studiavano e allestivano già i primi cantieri della Ricostruzione. Che sarebbe divenuta un simbolo a livello globale di rinascita dalle macerie generando anche esperienze incredibili come l’invenzione della Protezione civile, così come la conosciamo e viviamo oggi. Una rinascita, non proprio una ricostruzione, deve essere quella che stiamo vivendo e della quale dobbiamo essere interpreti. Secondo l’esempio di quel modello per ripartire dal lockdown e dalla crisi della pandemia. È per questo che, nato per caso, in uno spazio piccolo ma significativo qual è la Corte degli artisti di Piazza Roma, in un paese tra quelli meno colpiti dal terremoto perché più lontani dall’epicentro, che è Sedegliano, dopo un paio di telefonate ad amici, è stato allestito uno spazio del ricordo, ma anche della riproposizione visiva della Ricostruzione. Con un campione di esempi di rinascita, di palazzi municipali, di interi piccoli borghi, di castelli e chiese dapprima ridotti in briciole. Poi, con l’aspetto radioso di un ripristino dov’era e com’era, con una ulteriore cura del territorio e il rispetto dell’esistente nel segno della sostenibilità. Il ringraziamento va all’Assessore comunale alla Cultura, Flavia Virilli, e al Sindaco di Gemona del Friuli, Roberto Revelant, al Sindaco di Colloredo di Monte Albano, Luca Ovan, e all’assessore comunale alla cultura, Paola Molinaro, alla Pro loco di Venzone e all’Associazione culturale Arte & Stella, per il materiale messo a disposizione, assemblato e reperito anche con la collaborazione dell’Associazione regionale della Stampa agricola, agroalimentare, dell’ambiente e territorio del FVG (ARGA FVG), e dell’Associazione culturale La Riviera Friulana.

Carlo Morandini e Ida Donati    

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